Lavoriamo di sponda: il racconto di Piera



Sulla sponda del Tevere sotto ponte Marconi.
 Tutti i romani e i turisti, gli stranieri trapiantati o
 di passaggio, penso si siano affacciati almeno una volta, 
dalla spalletta di un ponte per ammirare il fiume. Il fascino dell’acqua ha sempre attratto lo sguardo, la curiosità nelle varie situazioni e stagioni: non solo perché l’acqua è l’elemento primordiale, che ci ha generato, ma per quella sua mutevolezza in divenire mai uguale e questo sia che parliamo di mare, fiume o lago.
Il Tevere non è solo una massa d’acqua in movimento verso il mare, o una strada romana senza traffico, ma un corso di vita, un’arteria di linfa vitale. Possiamo immaginarlo come il Nilo, che ha mantenuto nel tempo (a differenza del Tevere) quell’aspetto di vita bucolica in cui ancor oggi si vedono le donne che lavano i panni, le stoviglie e anche gli animali e i bambini che fanno  il bagno. Nel Tevere si tuffa solo mister Okay e qualche altro …… per motivi diversi, ma il fiume pur non essendo balneabile mantiene ugualmente il suo fascino, quello per intenderci ben rappresentato dagli acquerelli stupendi di Roesler Franz ma si può ancora scorgere in alcuni punti, in qualche radura, un’atmosfera dai colori e scenari pittorici, quell’ aspetto bucolico che sembrava perduto.
Gli esperti dicono che il Tevere non è inquinato ma solo sporco, e su questo si può disquisire. In Thailandia, ad esempio, in un tratto del fiume Mekong dove ancora vivono delle tribù in una sorta di palafitte, a una mia ingenua espressione “ma qui l’acqua è torbida” mi risposero “no, è il colore della terra”. Doveva essere così se i bambini si tuffavano allegramente e le donne lavavano i panni e i piatti e i pescatori esponevano orgogliosi il pesce appena pescato, a seccare sulle stuoie, al sole. Pertanto se parliamo del Tevere, sappiamo che li nascono, vivono e proliferano le anguille che, solitamente prediligono l’acqua corrente e pulita: allora tutto torna, la natura continua a stupirci con i suoi corsi e ricorsi e con le sue potenzialità.
 Gli antichi romani apprezzavano molto le anguille e le allevavano dentro vasconi anche nei giardini delle case patrizie. Ora i gusti sono cambiati ma le anguille del Tevere sono apprezzate in tutta Italia e all’estero anzi sembra che quelle romane siano migliori di quelle di Comacchio e spesso spacciate per “teverine”, parola di Soufiane pescatore di anguille. E’ così che comincia il suo racconto sulla piazzola di attracco, a ponte Marconi. Lasciò il Marocco quindici anni fa stanco del lavoro di contabile, anima libera, curioso del mondo, e quando approdò a Roma, fu conquistato dal fiume.  Ama la vita all’aria aperta e si vede: con ritualità, metodo e calma ripone le nasse dopo averle pulite dai detriti di alghe e conchiglie e intanto mi cita un proverbio marocchino: “L’uomo è un piccone ovunque va deve scavare per …. trovare il pane”. Sorride di questa frase ormai fatta sua e sa bene che “scavando” nel fiume trova le anguille, il suo sostentamento. In una giornata si pescano 10/15 kg di anguille.
 Peccato, che i romani ne mangino di meno di un tempo, seppure il consumo aumenta per le festività natalizie e nella stagione dei picnic all’aperto: sono apprezzate e prelibate alla brace. Non si lamenta del guadagno, è contento ed orgoglioso di essere un pescatore con regolare licenza e partita IVA. E non può che essere così, perché quel tratto di fiume che va dall’isola Tiberina alla Draga è sotto il controllo di Claudio e della Protezione Civile. Li, sotto ponte Marconi, infatti, vi è un terreno in concessione attrezzato, vigilato e per il soccorso e la pesca, la classica tenda da campo, la roulotte per lo stazionamento notturno e poi le barche da pesca e da trasporto e soccorso. Anche Claudio è in simbiosi col fiume: in un perfetto stile marinaro: fisico asciutto, abbronzato, tatuato e non sfugge la scritta, evidente, sul braccio sinistro. Il proverbio (anche lui ha il suo) è in dialetto sardo (ama la mia terra) che cita così: “su marinaiu si bide in sa tempesta”, Traduzione: “Il marinaio si vede nella tempesta”. Siamo tutti d’accordo e se la tempesta è la vita, diamoci da fare ci siamo detti noi Gruppo Legambiente, radunati lì per osservare l’habitat da pulire, capire, curare, migliorare. Il fiume va valorizzato. Tutte le grandi città ne hanno uno e lo dragano, puliscono le sponde, lo navigano: creiamo anche nuovi punti di attracco turistico, facciamone un luogo di svago, attrezziamo le piazzole naturali e assolate e verdeggianti per transito e sosta. 
Creiamo percorsi a piedi, sentieri nel verde, per ammirare flora, fauna e paesaggio naturale. Il fiume inoltre andrebbe dragato, mansione costosa forse ma ne varrebbe la pena per due motivi fondamentali: la prima eliminando le ormai inveterate sedimentazioni, il fiume diventerebbe più scorrevole riprendendosi il suo letto.  Darebbe respiro a quel tratto “affogato”, stretto ingabbiato tra i muraglioni del centro storico cosicché qualora si verificassero le alluvioni si eliminerebbero gli straripamenti, il corso del fiume diventerebbe più profondo quindi più navigabile in ogni parte.  Ciò faciliterebbe nuove mete di escursioni turistiche con i barconi e non solo. Sicurezza innanzitutto. Infatti, abbiamo visto che quando il fiume “s’incattivisce” lascia anche un segno sui piloni a ricordo del suo passaggio: se l’uomo ne prendesse atto, capirebbe che molti siti sono a rischio (esempio deposito giudiziario nelle vicinanze, accampamento Rom occultato nel verde) e altro. Pertanto la dragatura verrebbe ripagata in breve tempo anche da un ritorno economico: le strutture attrezzate darebbero lavoro a stagionali e per la cura dei luoghi e per le soste e pranzi organizzati (con degustazione di anguille) e dalla vendita dei biglietti e da altre entrate accessorie.
  Valorizziamo ciò che abbiamo. Pubblicizziamo il percorso naturalistico da Viale Marconi al Lido di Ostia. Ricordo nel 1997, una gita sul barcone con la scolaresca. In una sola mattinata abbiamo fatto lezione di storia, geografia, scienze, flora e fauna fluviale in un contesto vacanziero di gioia ed emozione per tutti i bambini. Approdando poi ad Ostia Antica non si poteva non parlare del sito archeologico. Infatti, ci aspettava lì un insegnante preparata ed accogliente. L’entusiasmo di tutti era grande e pertanto perché non riappropriarci di quei momenti?  Vivere il fiume, inglobarlo nella quotidianità, farne un corso, frequentato quasi come quello con vetrine perché il Tevere è come una grande vetrina che cambia continuamente. Diamo rilievo all’ambiente, studiamo l’habitat facciamo “educazione ambientale” nelle scuole. Riprendiamoci il paesaggio, seppure nostro da sempre, arricchendolo di contenuti e curandone la struttura perché la natura nonostante la deturpiamo, la violentiamo ha grandi risorse. Soltanto osservandola capiamo, e capendo non possiamo non dire, che sia una grande maestra di vita, che continua a stupirci.
                                                                            Piera Savigni
31 maggio 2015

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