Parigi Cop21, Tocca a noi darci da fare

Abbiamo partecipato alla marcia mondiale per il clima il 29 novembre.
Ecco un report di Elena Tioli sull'esito della Conferenza sul clima di Parigi.
Si è da poco conclusa la ventunesima Conferenza sui cambiamenti climatici di Parigi (Cop21)
 e già il tema ambiente è stato riposizionato nelle ultime fila delle notizie del giorno. Caso vuole che sia 16 dicembre, che fuori ci siano 16 gradi, un sole primaverile e due fragoline nell’orto di un amico.Insomma che ci sia un problema non trascurabile inerente al clima dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti mentre ad accorgersene sono in pochi. E sicuramente tra questi non c’è chi ha pesantemente influito sugli accordi rilasciati il 12 dicembre dall’UNFCCC, la Convenzione Quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici.


Il primo accordo sul clima di scala planetaria è un testo composto da 31 pagine e firmato da 196 Paesi membri dell’UNFCCC. Per entrare in vigore dovrà essere ratificato da non meno di 55 Paesi, che devono rappresentare complessivamente non meno del 55% delle emissioni globali di origine antropica. Nel caso di Kyoto, questo sistema ha fatto perdere 8 anni.


Si tratta di un protocollo non vincolante a livello internazionale basato sul principio della responsabilità comune ma differenziata. Cosa significa? Per esempio che a Paesi in via di sviluppo come India e Cina è concesso di procedere con maggiore calma, a causa della loro più recente industrializzazione. Ma, soprattutto, significa che i risvolti concreti di questo accordo resteranno appesi alla volontà e al buon senso dei singoli governi, senza alcun vincolo giuridico-legale e senza alcuna sanzione nel caso del mancato raggiungimento degli obiettivi da loro stessi indicati.

Tra i punti più controversi quello della soglia massima per il riscaldamento globale fissata dal protocollo “ben al di sotto dei 2 gradi” con l’impegno di “fare sforzi per limitare l'aumento a 1,5 gradi”. 1,5 gradi per molti era invece il limite auspicato, l’unico in grado di garantire la sopravvivenza di tantissimi ecosistemi particolarmente sensibili come le regioni polari, l’alta montagna, i Tropici, le piccole isole e le zone costiere.

Anche sui finanziamenti la discussione è stata aspra e le cifre tirate a ribasso. A fronte dei 100 miliardi di dollari l’anno (a partire dal 2020) a fondo perduto per programmi di mitigazione e adattamento nei Paesi più a rischio la stessa cifra è stata stanziata per l’intero periodo 2020-2050.

A mancare è anche l’affermazione dell’obbligo dei Paesi ricchi di risarcire i territori più danneggiati da perdite e danni irreversibili (loss and damage) provocati da cambiamenti climatici di cui l’Occidente è primo responsabile. Proprio l’Unione Europea e gli Stati Uniti si sono coalizzati per opporsi a qualsiasi sistema coercitivo che li esponga a richieste di indennizzo da parte dei Paesi poveri spezzati dai cataclismi.

Il Protocollo di Parigi, infine, non fissa alcun termine per lo sfruttamento di carbone, gas e petrolio. A passare è il principio della neutralità climatica e non quello delle emissioni zero, vero spauracchio delle lobby e dell’industria.

In molti comunque esultano.

Il ministro degli esteri francese e presidente della Cop21 Laurent Fabius a margine dell’intesa ha annunciato: “Siamo arrivati ad un progetto che riflette le posizioni delle parti. Si tratta di un accordo giusto, sostenibile, dinamico, equilibrato e vincolante. È uno storico punto di svolta”.

A fargli eco è il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki­moon che ha dichiarato: “Il documento che avete appena presentato è storico” e “promette di avviare il mondo su un nuovo sentiero”, ora “finiamo il lavoro, il mondo intero ci sta guardando”.

Anche da vari gruppi ambientalisti si sono levati consensi. Secondo Kumi Naidoo, direttore di Greenpeace: “La ruota dell’azione climatica gira lentamente, ma a Parigi ha girato. Nel testo ci sono molti punti che sono stati diluiti da coloro che vogliono spogliare il nostro pianeta, però c’è l’imperativo a contenere il rialzo delle temperature ben al di sotto dei 2 gradi e verso il grado e mezzo e l’obiettivo a 1,5 gradi e quello delle emissioni zero anche nella seconda parte del secolo. Questo mette all’angolo le compagnie petrolifere”.

Tra quelli che non condividono l’entusiasmo c’è invece Sergio Castellari, Esperto Nazionale Distaccato (END) all’Agenzia Ambientale Europea a Copenhagen. Castellari in primis sottolinea la mancanza di obiettivi quantificabili: “È un peccato che non ci siano - dichiara -  nella prima versione del testo c’erano, nella seconda si parla di una più generica neutralità carbonica, ovvero che la riduzione delle emissioni si può ottenere anche attraverso una serie di azioni aggiuntive (riforestazione, cattura e sequestro, e così via, forse compresa anche la temutissima geoingegneria). Come scienziato sarei stato molto felice se fosse rimasto questo tentativo di avere degli obiettivi in cifre. Ma capisco che l’approccio di questo testo, bottom­up, non li contempli”.

Hans Joachim Schellnhuber, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research in Germania ha affermato che si tratta di un “testo debole e incoerente” e ha spiegato perché gli impegni offerti dai Paesi per raggiungere gli obiettivi siano “del tutto insufficienti e lontani da un'agenda con cui salvare l'umanità”.

Kevin Anderson, vice­direttore del Tyndall Centre di Manchester rincara la dose affermando che “questo testo è debole, non si fonda su solide basi scientifiche, non considera le emissioni del comparto aereo e navale. L’unica via è arrivare a zero emissioni: entro il 2050 se vogliamo puntare a +1,5 gradi, entro il 2070 se l’obiettivo è quello dei 2 gradi”.

Ma non serve rammaricarsi! Come suggerisce Federico Antognazza vice presidente di Italian Climate Network: “Tocca a noi, dal basso, colmare il divario e spingere i Governi locali affinché attuino celermente e in modo efficace le politiche dichiarate negli INDCs dando una chiara visione sugli investimenti del futuro: economia circolare, efficienza energetica, energie rinnovabili, politiche di adattamento e disinvestimento dalle fonti fossili”.

Anche per la giornalista e attivista canadese Naomi Klein le cose possono cambiare solo nel caso in cui il cambiamento parta dal basso: “Non siamo andati a Parigi a pregare i leader di salvare il mondo, perché abbiamo gli occhi ben aperti e sappiamo che ciò che hanno portato al tavolo dei negoziati non ci condurrà ad alcuna soluzione definitiva - ha dichiarato la Klein in un’intervista al Manifesto - C’è ancora un’enorme distanza tra quello che tutti dicono si dovrebbe fare per abbassare le emissioni e per mantenere le temperature al di sotto dell’incremento di un grado e mezzo, da una parte, e quello che sono effettivamente disposti a fare, e il modo in cui si intende procedere, dall’altra. Versione dopo versione, fino al testo finale dell’accordo, non vi è nulla di decisivo sui combustibili fossili, rispetto alla necessità di lasciare nel sottosuolo gran parte delle riserve esistenti di carbone, petrolio e gas naturale. Ma la gente che ha riempito le piazze, qui a Parigi, non si sta piangendo addosso, non è disperata. Siamo invece ben consapevoli che dobbiamo lavorare ancora più duramente”. Insomma, iniziamo noi a darci da fare.

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